Dentisti italiani volontari in India presso Care&Share

La prima volta che presi tra le mani Alex il suo peso non superava i milleduecento grammi. Avete letto bene, lo presi tra le mani messe a coppa, non in braccio; era troppo piccolo per essere preso in braccio. La cosa che mi impressionò di più, nonostante si trattasse di un neonato di pochi giorni, fu che l’aspetto del viso di Alex era quello di un vecchietto. Era tutto raggrinzito e calvo. La pelle gli stava addosso come un vestito di taglia troppo grande. Alex è il nome che gli fu dato dopo che l’anima pia che lo aveva trovato in un fagotto nascosto tra le immondizie di un cimitero, lo portò all’orfanotrofio che si chiama Daddy’s Home. Laggiù da venti anni trovano rifugio migliaia di bambini abbandonati lungo le strade dell’Andhra Pradesh, uno degli stati più poveri dell’India. Proprio l’India di quel miracolo economico di cui sono piene le pagine dei giornali occidentali, l’Incredible India della pubblicità dell’ente per il turismo indiano che campeggia in ultima pagina di Sette,l’inserto settimanale del Corriere della Sera.

Il dottor Bhu – Bhu è il suo diminutivo perché il nome completo è impronunciabile per noi- dichiarò che Alex non sarebbe sopravvissuto a lungo. Era in arrivo l’inverno. Il dottor Bhu è il pediatra che tre volte la settimana viene a visitare i bambini più piccoli dell’orfanotrofio. Il dottor Bhu è un medico sovrappeso (cosa davvero inconsueta in India tra le classi povere), dalla pelle color dell’ebano; ha il tono di voce sempre sussurrato, anche quando i bambini strillano. Fu così che fu lanciata la sfida. Che fare per Alex? A Daddy’s Home non ci sono culle termostatate e anche se ci fossero, le frequenti interruzioni nella fornitura di energia elettrica ne ridurrebbe l’efficacia. Anche se in Andhra Pradesh l’inverno la temperatura non scende sotto i quindici gradi, sarebbe stato troppo freddo per Alex. In aggiunta a breve era attesa un’ondata di freddo. Il termometro sarebbe sceso a temperature di 10 gradi, quasi piacevoli per noi occidentali, ma micidiali in India. Per chi voglia rendersi conto di cosa significhi un’ondata di freddo sulla baia del Bengala consiglio di leggere la descrizione che ne fa Dominique Lapierre nella Città della Gioia. Fu così che ci precipitammo in città a comprare coperte e borse dell’acqua calda. Non fu facile trovarne; nel sud est dell’India sono merce solitamente inutile. La culla di Alex fu riempita di coperte e borse dell’acqua calda che sarebbero state cambiate con regolarità per settimane allo scopo di mantenere al caldo Alex.Era la fine dell’anno. Rividi a marzo Alex sbocciato come un fiore a primavera. Finalmente il suo aspetto era quello di un bambino. Questo è solo uno dei tanti miracoli che quotidianamente avvengono a Daddy’s Home grazie a Care & Share.

Cosa è Care & Share?

Care&Share è una Onlus che assiste più di 5000 bambini del Krishna District dove c’è la città di Vijayawada, uno dei centri maggiori dell’Andhra Pradesh nell’India sudorientale.
Più di 20 anni fa Carol Faison, una splendida signora italo-americana dalla statura morale di un gigante, decise di trasferirsi da Venezia a Vijayawada per iniziare dal nulla una avventura che ha in se dello straordinario. Oggi anche Care& Share è diventata un gigante, ma purtroppo si tratta di un gigante dai piedi d’argilla. Dalla sua fondazione Care&Share ha creato due orfanotrofi, ciascuno costruito su di un terreno di qualche ettaro. Care&Share  ha inoltre aperto sei scuole che servono sia i bambini degli slums della città che quelli dei paesi vicini dando lavoro a molti adulti indiani. C&S sta cercando di creare una propria autonomia alimentare per liberarsi dai capricci dei prezzi; per questo sono stati comprati alcuni terreni da adibire a risaia, per questo a Daddy’s Home sono allevati molti animali da cortile ed è attiva una stalla in cui le mucche producono latte fresco. Negli anni presso il campus di Daddy’s Home è stata attrezzata una sartoria (che produrrà vestiti scolastici anche per altre scuole), una calzoleria ed una rilegatoria in modo da ridurre la dipendenza dall’esterno.
Ma Care & Share in questo periodo non ha risorse economiche sufficienti e Care&Share  ha al proprio servizio più di 400 dipendenti in India da pagare. Per questo motivo la sopravvivenza di Care&Share dipende anche dalla raccolta di fondi in Italia allo scopo di mantenere a distanza i bambini abbandonati. Purtroppo nel nostro paese la crisi sta riducendo la disponibilità degli italiani a farsi carico dei costi per la sponsorizzazione dei bambini dell’orfanotrofio. Il mantenimento a distanza di un bambino tra vitto, alloggio, abbigliamento e studio costa circa 500 euro l’anno. Una cifra che molte famiglie italiane non sborsano più.

Per questo è in corso una campagna in cui Care&Share  chiede soldi per il sostegno a distanza dei bambini abbandonati . Il 5 x 1000 della dichiarazione dei redditi può essere devoluto a Care&Share. Per farlo basta copiare il codice fiscale di Care&Share : 94048560273 e firmare sulla dichiarazione dei redditi.

Care & Share si occupa anche dell’assistenza medica per i bambini abbandonati, per quelli handicappati e per i sieropositivi. E’ così che alcuni medici e dentisti italiani, tra cui chi vi scrive, si sono avvicinati a Care&Share . Ci siamo arrivati attraverso un passaparola graduale. Il primo dentista che è arrivato a Care&Share  per lavorarci è il dottor Evaristo Arnaldi di Vicenza. Evaristo è anche un Doctor Clown; è il presidente italiano dei Dottor Clown, uno di quelli che come Patch Adams va negli ospedali pediatrici o ovunqueci siano bambini che soffrono per portare loro un sorriso. Sono anni che Evaristosi reca in India come volontario. Tramite lui si è avvicinato a Care&Share  anche un giovane dentista di Belluno, il dottor Paolo Bortoluzzi, che era stato mio studente alla scuola di specializzazione in Ortodonzia dell’Università di Ferrara dove tengo periodicamente alcune lezioni. Durante il mio annodi presidenza dell’ ASIO (Associazione degli Specialisti Italiani in Ortodonzia) sentii la necessità che si facesse qualcosa di socialmente utile oltre alle usuali attività per gli iscritti. Non sapevo come realizzare questo mio desiderio quando mi tornò in mente che Paolo era stato spesso in India come volontario. Lo andai a trovare a Belluno e ascoltando i suoi racconti decisi subito di partire. Da allora sono stato già quattro volte a Daddy’s Home. Due volte ho portato anche mia moglie con le nostre due figlie; i bambini di C&S oltre che di cure mediche hanno bisogno di chi li stimoli e che giochi con loro. Tramite il passaparola la compagnia si sta ampliando; nel 2012 e nel 2013 mi ha accompagnato in India il dottor Erminio Rotunno di Fasano in Puglia; è un amico fraterno dai tempi dell’Università. Dallo scorso anno si è aggiunto al gruppo il dottor Paolo Di Giacomo che viene da Schio e da quest’anno la dottoressa Camilla Morandotti di Milano. Presso entrambi gli orfanotrofi c’è anche un piccolo dispensario con alcuni posti letto per gli infettivi, c’è un’infermeria per le medicazioni e c’è pure uno studio dentistico completamente attrezzato fornito di due postazioni dove si concentra il nostro lavoro. Si tratta di curare tutte le patologie orali tipiche dell’età pediatrica e di spiegare i principi della prevenzione dentale. Capita di tutto al nostro studio dentistico. Molti bambini, spesso quelli più poveri, la cui dieta non ha mai conosciuto il cibo industriale preconfezionato ricco di zuccheri raffinati ed appiccicosi (come caramelle e biscotti) hanno bocche perfette. Altri, proprio quelli che hanno avuto la disgrazia di ricevere in regalo molti dolci presentano molte carie così come capitava 40 anni fa nel nostro paese (e come sta tornando a capitare a causa della crisi e dei conseguenti minori controlli dentistici). Un capitolo a parte è da scrivere a proposito dei bambini siero-positivi e soprattutto di quelli colpiti da Aids. La depressione del sistema immunitario consente alle carie di diventare enormi con grande velocità. Ai primi di marzo abbiamo dovuto estrarre ben 18 residui di denti da latte in una unica seduta mattutina a Prasad, uno splendido bambino di 9 anni. Una vera e propria bonifica. Non sono abituato a valutare gli effetti di interventi così estesi e perciò temevo che il bambino sarebbe stato male dopo il repulisti preceduto da ben 15 iniezioni di anestetico. Invece con stupore all’ora di pranzo Prasad stava già mangiando allegramente con le mani la sua porzione di riso così come in India sono tutti abituati a fare.

Perchè in India?

Ho analizzato a lungo i motivi che spingono i volontari ad andare in India per vivere queste esperienze. Escludendo lo spirito religioso, Care&Share è un’organizzazione laica, la cosa potrebbe essere interpretata secondo la Teoria dei Bisogni di Maslow che sostiene che noi umani, evolvendo e dopo aver soddisfatto le necessità di base, ne aggiungiamo sempre di ulteriori, tra le quali quella di aiutare il prossimo meno fortunato di noi. E’ molto verosimile che sia così, ma talvolta non è sufficiente a spiegare le cose. In certi casi possono esserci ragioni molto più banali.
Nel mio caso ho spiegato la cosa con il fatto che l’India mi ha sempre affascinato. Fin da bambino la lettura dei libri di Salgari, quelli dei Misteri della Jungla Nera, in cui il bengalese Tremal Naikcombatte contro i Thugs strangolatori devoti della dea Kali, mi aveva entusiasmato. Poi da adolescente lo fecero le sonorità orientali introdotte nella loro musica dai Beatles. In quegli anni indossavo occhialini tondi mentre il mio registratore a cassette usurava il nastro su cui avevo inciso il concerto per il Bangladesh. In quel disco, invitato da George Harrison, l’ospite d’onore era Ravi Shankar con il suo Sitar. Mi perdevo nell’ascolto dei Raga. In quegli stessi anni iniziai a praticare lo Yoga diventando vegetariano e frequentando un Ashram dove dopo la meditazione si danzava il Kirtan, una danza ipnotica. Più tardi, come calamitati, facemmo il nostro viaggio di nozze in India, proprio nel momento in cui i fanatici Hindù distrussero a mani nude la moschea di Ayodhia. Nonostante le periodiche esplosioni di violenza, la mitezza e la cordialità del popolo indiano mi avevano conquistato. Che siano state queste esperienze ad attrarmi in India non solo da turista? Chi può dirlo? Una cosa è certa; l’esotismo che a lungo mi aveva attratto, la spiritualità che avevo sempre sognato, di tutto questo nell’India odierna non ho trovato alcuna traccia evidente. Sia chiaro; nel traffico frenetico ci sono i santoni che chiedono la carità mentre lungo le strade circolano le vacche sacre. I templi sono pieni di devoti, ma la metà della popolazione vive nella miseria e quel che fa più male è dover constatare che i più indifesi, i bambini, vivono nelle condizioni peggiori. Metà degli indiani tuttora – sono dati del 2012 – non ha accesso ad un servizio igienico e questo aspetto dell’India passeggiando per le città ed i villaggi si vede e si sente benissimo.

Non sono storie per stomaci deboli e cuori teneri quelle che molti dei bambini e ragazzi di C&S possono raccontare. La vita in India non è generosa, ci sono molte malattie infettive – come l’AIDS – che da noi non sarebbero mortali. Invece in India per ignoranza, per superstizione e per l’enorme povertà, l’AIDS è diventata un flagello. Per questo ci sono molti orfani e bambini abbandonati. Accade di frequente che dopo la morte di uno dei due genitori, il superstite si risposi; ma a quel punto il nuovo coniuge non vuole con sé i figli del precedente matrimonio. Tutto questo per gelosia, oppure per favorire i nuovi figli o perché non c’è abbastanza cibo per le troppe bocche da sfamare. Da situazioni di questo tipo prendono l’avvio storie di violenza e di maltrattamenti al cui confronto quella di Cenerentola appare per quello che è: una bella fiaba. In India il più delle volte non c’è lieto fine nelle storie. Molti bambini fuggono per strada scappando da matrigne e patrigni crudeli che dopo aver maltrattato per anni i bambini arrivano a venderli o cederli perché facciano i mendicanti.
La piccola Aria è stata portata a C&S perché presso l’orfanotrofio statale cui inizialmente la polizia l’aveva portata trovandola in condizioni disperate, non c’erano le risorse per curarla. Oggi Aria ha 8 anni ed è una bambina che vuole sempre giocare con i suoi coetanei. Dopo la morte della madre Aria era stata “adottata” da uno zio paterno che per convincerla a mendicare l’aveva fatta sedere su di una stufa rovente accesa. Le cicatrici delle ustioni sono ancora ben visibili ed hanno impiegato mesi per guarire. Questo trattamento non è bastato a domare Aria, perciò alla cura della stufa sono seguite le legnate. La piccola quando è arrivata aveva una frattura scomposta dell’avambraccio che è stata ridotta chirurgicamente. Ma quello che i ha colpito maggiormente coinvolgendomi il cuore era dover vedere intere aree del cuoio capelluto da cui le erano stati strappati i capelli. Per uno di quei “miracoli” che la vita fa accadere ora grazie all’intervento di C&S Aria sta bene.

Ugo d'Aloja presso Daddy’s Home

Sono felici questi bambini?

E’ una domanda che mi pongo spesso. La prima volta che sono entrato a Daddy’s Home ero prevenuto dal fatto di conoscere già molte di queste storie spaventose. Pensavo che un alone di tristezza, provocato dalle loro storie drammatiche, estendesse la propria influenza sopra l’orfanotrofio come un sudario. Mi sbagliavo. Laggiù ho conosciuto qualcosa che mi ha avvicinato talmente alla condizione di pace interiore da rimanerne stordito. Si tratta di una sensazione inspiegabile rara ed unica. Per questo talvolta ho il desiderio di rimanere a Daddy’s Home per sempre perché tra i bambini si vive una emozione forte ed impalpabile difficilmente descrivibile che è molto appagante e che non ho mai provato altrove. La prima cosa che i bambini fanno quando arriva un estraneo è quella di circondarlo pieni di curiosità, lo tirano per la camicia, lo riempiono di richieste e di domande toccandolo ovunque. E’ accaduto anche a me. La mia prima reazione è stata di grande imbarazzo; una sensazione di inadeguatezza mi ha inizialmente sopraffatto. Che ci facevo laggiù io? Come avrei potuto essere davvero qualche di aiuto – oltre he prestare delle cure mediche e dentistiche – provenendo dal mondo del benessere così diverso dal loro?
I primi giorni la sensazione era così forte che ogni tanto dovevo accostarmi ad un muro per nascondermi e piangere al pensiero di ciò che questi bambini avevano vissuto e di quanto potessero soffrire senza avere una mamma o un papà che se ne prendesse cura. Poi, dopo aver rotto il ghiaccio con i bambini (non accade subito, bisogna lasciarsi andare un poco alla volta), dopo aver capito il loro bisogno di contatto fisico, di abbracci, di carezze e tenerezza, ho capito che a Daddy’s Home avviene un altro miracolo; i bambini si divertono molto e sono davvero felici. Nessuno di loro si compatisce, la voglia di giocare prevale su tutto. I bambini vivono suddivisi per età in case che ne ospitano gruppi di circa cinquanta. Non ci sono letti, tutti dormono su di una stuoia. La mattina la sveglia è con la prima luce poco dopo che gli uccelli iniziano il loro canto. Dopo il canto degli uccelli – che in India sono davvero tanti e rumorosi – quello che colpisce e rimane impresso nella memoria è la forza del vociare dei bambini che risuona per tutto il campus. Si tratta di un vero concerto. Appena alzati i bambini ripongono la stuoia, si lavano e si vestono, poi si dirigono in file disordinate alla caffetteria del campus per la colazione. Da lì ritornano alle loro case per prendere la cartella ed andare alla scuola che è al di là della strada Si può immaginare come a quell’ora questi spostamenti, che coinvolgono centinaia di bambini, provochino un enorme traffico e trambusto. Tra un passaggio e l’altro c’è sempre tempo per il gioco ed il divertimento. E’ una cosa contagiosa. Il concerto del risveglio è un crescendo sfrenato talmente allegro che le giornate non iniziano mai malinconiche. Sono convinto che in quei momenti i bambini siano davvero felici nonostante le loro storie abbiano trascorsi spesso agghiaccianti. I bambini in quei momenti vivono il presente, essi vivono solo l’attimo e credo che questa sia la ragione della loro straripante e contagiosa felicità. A Daddy’s Home il passato non conta più, si vive al 100% il presente ed il futuro è quella cosa ignota e meravigliosa da cui, come i bambini di tutto il mondo , ci si attende solo cose belle.

Melody dagli occhi tristi in tutta questa felicità fa eccezione. Ero presente la domenica di agosto in cui la madre portò Melody a Daddy’s Home. Ricordo come sia adesso la sua esile figura femminile un poco barcollante vestita – come tutte le donne adulte indiane – con un Sari colorato. Teneva stretta tra le braccia una bambina dagli occhioni grandi, neri e tristi; era Melody. La madre di Melody viveva raccogliendo stracci ed era vittima di un’altra piaga che affligge l’India moderna: quella dell’alcolismo. Tra i poveri – e non solo loro – l’alcolismo è diffusissimo. I poveri bevendo si avvelenano perché comprano liquori di pessima qualità e per di più nel farlo essi sottraggono ai figli quei pochi soldi che servirebbero per nutrirli. La mamma di Melody non riusciva più a farsi carico della figlia più piccola. Per questo quella domenica pomeriggio si era presentata al cancello di Daddy’s Home implorando di tenerla là. La scena in cui Melody guardava andar via la madre è stata straziante. Sono passati due anni, ma lo sguardo di Melody è sempre lo stesso: perduto verso quella schiena che se va. Non c’è verso e non c’è modo di far sorridere questa bambina che è bellissima nonostante i suoi occhi tristi.

Quindi si può dire che non tutti i bambini sono felici a Daddy’s Home o perlomeno non tutti lo sembrano? Forse questo potrebbe indurre a pensare che neppure tutti quelli che giocando esprimono ad alta voce il loro divertimento lo sono. In realtà tutte le generalizzazioni lasciano spazio alle eccezioni. La realtà è che i bambini di Care&Share vivono molto meglio di come vivrebbero se fossero rimasti per le strade dell’Andhra Pradesh. Chi ha creato tutto questo per loro sta dando ai bambini alcune enormi opportunità. Bisogna che tutto ciò non si interrompa. Fino ad oggi i bambini di Care&Share ricevono cibo tutti giorni, hanno un tetto solido sotto il quale dormire, vestono abiti puliti, sono forniti di cure mediche quando necessario, la loro buona salute, compresa quella dentale, è garantita, la scuola fornisce una istruzione in inglese che consentirà loro di trovare un posto nella società indiana in espansione. Quello che serve è che dall’Italia arrivi un poco di aiuto economico affinché Care&Share possa continuare la propria opera. Mi auguro che chi sia arrivato a leggermi fin qui risponda all’appello. Alcune frasi che ho scritto potrebbero indurre a ritenere la vita di Daddy’s Home come quella in un paradiso. Sicuramente ho idealizzato molto la mia esperienza, è certo che io ho sempre ricevuto dai bambini indiani di strada molto più di quello che sia riuscito a dare loro.
Vorrei concludere questa narrazione concedendo a Maslow (ed alla sua Teoria dei Bisogni) di avere davvero ragione: prima o poi nella nostra vita per continuare a crescere bisogna pensare anche al prossimo.

PS: Notizia di pochi giorni fa. Alex è stato adottato da una bella coppia che non riusciva ad avere figli. Chissà che questa sia davvero una svolta per la sua vita e speriamo che Alex possa crescere in una famiglia come quella a cui ogni bambino di questo mondo avrebbe diritto.

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